A recente ratifica ed esecuzione della Convenzione tra Italia e Panama, siglata a Roma l’ormai lontano 30 dicembre 2010 ed entrata in vigore con la pubblicazione della Legge n. 208/2016 (G.U. 21.11.2016 n. 272), non rappresenta la sola e positiva conclusione di un accordo tra due Giurisdizioni ma – in piena epoca voluntary bis – sembra costituire una vera e propria risposta allo scandalo su scala worldwide dei cd. «Panama Papers».
Il grande impatto mediatico della notizia e la conseguente «corsa ai ripari» sia a livello EU («Panama Papers – inquiry committee») che a livello OECD («Tax administrations meet on “Panama Papers”») hanno spinto il Governo panamense a sottoscrivere – lo scorso 26 luglio – la Multilateral Convention on Mutual Administrative Assistance in Tax Matters strumento alla base dello scambio automatico di informazioni elaborato in sede OECD (cd. «Common Reporting Standard») che prenderà forma proprio a partire dal 2017 tra le giurisdizioni «early adopters» ossia i primi 54 Paesi partecipanti, Italia compresa.
Da un punto di vista prettamente italiano, considerando:
- i (pochi) capitali di fonte panamense emersi durante la prima edizione dellavoluntary disclosure;
- i nominativi di contribuenti italiani compresi nei «papers»;
- la definitiva riapertura dei termini della rinnovata procedura di collaborazione volontaria;
la ratifica della Convenzione porta a considerare i seguenti ulteriori (e possibili) scenari.
In particolare, come previsto sia dall’ Art. 25 della Convenzione che dai dettagli contenuti nel Protocollo Aggiuntivo, è stata prevista una generale forma di collaborazione e scambio di informazioni (su richiesta) «presumibilmente rilevanti per applicare le disposizioni della presente Convenzione (…)» che trova limite sia con riferimento all’insindacabile sovranità delle singole Giurisdizioni (Art. 25, comma 3) sia nel divieto di esperire richieste generalizzate (cd. «fishing expedition») ovvero non corredate da sufficienti dettagli con riferimento al soggetto sottoposto a verifica/indagine, al periodo di tempo considerato e alla tipologia di informazioni richieste.
In aggiunta se è vero che le informazioni sottratte allo Studio Mossack Fonseca non possono essere considerate – per loro stessa natura – come «fiscalmente rilevanti»proprio in forza del fatto che, oltre a non essere state né elaborate né filtrate secondo le disposizioni della benché minima normativa anti elusiva e/o antiriciclaggio, potrebbero essere riferite a presunte strutture fiscali create al fine di occultare capitali, redditi e patrimoni regolarmente dichiarati e/o già emersi in passato; è altrettanto vero che l’accertamento fondato solo su informazioni acquisite illegalmente è comunque plausibile in quanto «è legittima l’utilizzazione di qualsiasi elemento con valore indiziario, anche acquisito in modo irrituale(…)» (Corte di Cassazione, ordinanza n.17503 del 1 settembre 2016).
In pratica, da un punto di vista informativo, l’entrata in vigore della Convenzione potrebbe giocare (indirettamente) un ruolo fondamentale per l’ottenimento di maggiori informazioni aggirando – in un certo senso – il divieto di «fishing expedition» in quanto l’Amministrazione finanziaria, proprio grazie ai dettagli contenuti nei dati trafugati, potrebbe essere già in grado di elaborare richieste di informazioni in linea con le disposizioni di cui al punto 6 (lett. c)) del Protocollo Aggiuntivo della Convenzione in quanto contenenti:
i) informazioni sufficienti ad identificare la persona sottoposta a verifica o indagine (in particolare, nome, data e luogo di nascita e, se conosciuti, indirizzo, codice fiscale, numero di conto o analoghe informazioni identificative);
ii) il periodo per il quale sono richieste le informazioni;
iii) una dichiarazione circa le informazioni richieste, compresa la loro natura e la forma in cui la Parte richiedente desidera riceverle;
iv) a finalità fiscale per la quale si richiedono le informazioni;
v) se conosciuti, il nome e l’indirizzo delle persone che si ritiene siano in possesso delle informazioni richieste.
Pertanto, lo scambio di informazioni su richiesta potrebbe essere utilizzato per ottenere maggiori dettagli utili ai fini dell’accertamento «a qualsiasi data entro i tre anni precedenti all’entrata in vigore della presente Convenzione» (Art. 27) ancora prima di interpellare direttamente il contribuente interessato. A tal proposito appare lapalissiano il fatto che l’Amministrazione finanziaria debba provvedere autonomamente ad escludere dalla lista dei soggetti coinvolti sia coloro che hanno aderito alla prima edizione della collaborazione volontaria che coloro che risultano regolarmente iscritti all’AIRE, tuttavia è comunque possibile che vengano interpellati soggetti che potrebbero non aver compiuto alcuna irregolarità e/o crimine di natura fiscale.
Per quanto attiene l’effettiva possibilità di recuperare il «gettito perduto» non è dato immaginare quali saranno i risultati concreti ottenibili: l’effettivo successo della procedura di voluntary disclosure – oltre che delle precedenti edizioni del cd. «scudo fiscale» – porta a ritenere che il fenomeno possa avere dimensioni ben più contenute rispetto a quelle prospettate a livello mediatico.
Da ultimo la riapertura dei termini di accesso alla procedura di collaborazione volontaria offre l’opportunità ai contribuenti italiani che detengono attività finanziarie all’estero di sanare le violazioni eventualmente commesse con riferimento a tali attività. Per quanto attiene lo specifico caso di Panama risulta – a maggior ragione – opportuno procedere alla trasmissione dell’istanza di accesso alla procedura prima dell’eventuale ricezione di comunicazioni che potrebbero costituire causa ostativa di accesso alla stessa.
L’Art. 7, comma 2 del D.L. 22 ottobre 2016 n. 193, convertito, con modificazioni, dalla Legge 1° dicembre 2016, n. 225, ha confermato il trattamento di favore per l’emersione le attività detenute in giurisdizioni cd. black list che abbiano intrapreso la strada della collaborazione fiscale sottoscrivendo un accordo per lo scambio di informazioni con l’Italia.
In tal senso, ricorrendone i presupposti, le attività panamensi oggetto di eventuali violazioni potranno essere sanate per le annualità dal 2009 al 2015 (anziché dal 2004 al 2015) con sanzioni ridotte al 50% del minimo edittale per quanto attiene le violazioni ai fini del monitoraggio fiscale e per le annualità dal 2010 al 2015 per quanto attiene le violazioni ai fini delle imposte sui redditi evitando il raddoppio dei termini previsto dall’Art. 12 comma 2 bis del DL 78/2009.
Tuttavia appare opportuno sottolineare come tale impostazione risulti ancora in discussione a causa del wording della norma di riapertura dei termini che individua nell’ «entrata in vigore dell’accordo» (Art. 7, lett. h)) la condizione per il citato trattamento di favore. In pratica, mentre la legge di ratifica della Convenzione è entrata ufficialmente in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, la Convenzione sarà efficace solamente a partire dal primo giorno del quarto mese successivo alla reciproca notifica da parte delle rispettive Autorità dell’ avvenuto completamento delle procedure di ratifica interna dell’accordo stesso (Art. 27 della Convenzione).
È pertanto auspicabile un intervento da parte dell’Agenzia delle Entrate al fine di sciogliere le riserve sul punto ed incentivare l’adesione alla procedura.